Arezzo, 14 ottobre – Un anno di Covid in RSA può essere vissuto in più modi sia come un evento drammatico che tutt’ora ci caratterizza o come momento di crescita professionale.
L’arrivo di un’emergenza di tale portata ha fatto sì che tutta l’organizzazione infermieristica sia dovuta crescere velocemente e mettere in pratica tutte le conoscenze socio-sanitarie, per ridurre al massimo il rischio di infezione della struttura e mantenendo il massimo livello di socializzazione e relazione che dovrebbe caratterizzare un contesto di lungo degenza.
Ecco che il patrimonio di corsi fatti, in tema di buone pratiche per evitare il rischio di trasmissione delle infezioni, di relazione con la persona, di personalizzazione dell’assistenza, hanno dovuto trovare celermente applicazione. Il contesto di RSA è organizzato per assistere persone con malattie croniche che non sono più gestibili a livello domiciliare e dove la presenza continua dell’infermiere ha un valore assoluto. Con l’arrivo del COVID ha preso sempre più “forza” il lavoro di rete tra professionisti di varie realtà come ospedale e territorio, con un continuo sistema comunicativo di ricezione dei dati, elaborazione di strategie, pianificazione delle azioni ed obiettivi, attuazione e rivalutazione, in forma condivisa. La rete si è ampliata e sviluppata rendendo così la realtà delle RSA parte integrata di un sistema diagnostico assistenziale molto più ampio. Un’ occasione dove i professionisti della salute hanno avuto l’occasione di potersi conoscere, misurarsi e confrontarsi, inizialmente su questa nuova epidemia e nel tempo su molteplici settori, accrescendo il patrimonio culturale delle professioni assistenziali. Tale percorso ha dato luogo ad una sorta di “aiuto tra professionisti” che ha permesso di aiutare concretamente i contagiati delle RSA per non sentirsi soli in un momento dove tutto intorno sembrava e sembra avvolto da una coltre nebbiosa che non lascia speranza. Molte sono state le parole ed azioni di aiuto e conforto nel momento acuto dell’infezione.. Con i colleghi di altre realtà si sono create nuove amicizie professionali, nuove idee da mettere in pratica, nuovi obiettivi… la drammaticità della pandemia ha suscitato quell’entusiasmo di voler combattere per vincere. Tante ore passate al telefono fra colleghi, tanti messaggi inviati semplicemente per dire “ IO CI SONO”, molti momenti di scambio di pensieri. Come infermiere credo che questo periodo sia servito a farci sentire veramente parte di un solo “credo”, quello di far vedere al mondo intero cosa voglia significare essere “professionisti della salute” sempre pronti a combattere la peggiore delle battaglie che si possano affrontare ovvero quella contro la sofferenza: per noi la salute viene prima di tutto.
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